Se c’è un romanzo che mi ha pienamente coinvolto, sia sul piano narrativo che su quello emotivo, guadagnandosi con merito il titolo di libro “cult”, questo è senza dubbio “La versione di Barney”, scritto da Mordecai Richler e pubblicato nel 1997.
Trama
Barney Panofsky è un ricco produttore televisivo canadese che, ormai quasi settantenne e sofferente di Alzheimer, decide di raccontare la sua “versione” degli eventi successi in passato, per rispondere alle insinuazioni che Terry McIver, amico di un tempo, avanza su di lui nelle sue memorie.
I ricordi iniziano dal periodo parigino negli anni Cinquanta, vissuto insieme ad alcuni giovani artisti squattrinati in cerca di fortuna.
Tra questi vi è Boogie, il suo migliore amico, il più talentuoso del gruppo ma quasi sempre strafatto.
Sono gli anni incoscienti del suo primo matrimonio con Clara, donna eccentrica, tormentata, che mette poi fine alle sue inquetudini in modo tragico.
Fallimentari anche le successive nozze con l’anonima “Seconda Signora Panofsky”, sposata solamente per recitare la parte del bravo ebreo borghese ammogliato.
Tanto che lo stesso giorno del ricevimento nuziale, Barney se la svigna per rincorrere Miriam, conosciuta soltanto qualche momento prima ma già da subito entrata prepotentemente nel suo cuore. Fra i due si consolida un amore totale, complice, passionale, coronato dalla nascita di tre figli.
Ma, dopo più di trent’anni, anche questa unione va in pezzi, erosa da continue incomprensioni e naufragata definitivamente dopo una scappatella di Barney.
Altro duro colpo per lui è l’accusa dell’omicidio di Boogie, a causa della quale conosce l’abisso del carcere e l’onta del processo.
Ne esce assolto per insufficienza di prove, ma per la gente resta lo stesso “un assassino con un culo così”.
La sua colpevolezza resta un mistero per tutto il racconto, fino a quando, imprevedibilmente, la verità viene rivelata nelle ultime righe di un finale strepitoso.
Impressioni
“Una delle storie più divertenti che ci siano mai state raccontate”, è scritto sulla quarta di copertina.
Questa volta non si tratta della solita frase a effetto, è proprio così, si ride parecchio, talora fino alle lacrime.
Barney è senza dubbio un casinista, auto-ironico, dissacrante di prima categoria. Tutta la storia è intrisa di un umorismo arguto che spesso sconfina in un sarcasmo feroce.
Irresistibili alcuni passaggi, come la descrizione del disastroso primo appuntamento con Miriam, o i racconti della gesta di suo padre Izzy, ispettore alla Buoncostume.
Ma, analizzando complessivamente il personaggio, questo è solo un aspetto di un uomo ormai solo e in declino, in preda all’autocommiserazione e al disincanto.
Legata a doppio filo con i ricordi, c’è la malinconia per i tempi d’oro ormai andati. Sembra di vederlo Barney, fra un whisky e l’immancabile Montecristo, a pensare nella notte al suo passato, afflitto dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare Clara, per essere stato troppo critico con i figli. E, soprattutto, per essere stato insensibile con la sua adorata Miriam.
Un po’ bastardo Barney lo è, questo va detto, ma non è certo peggiore della società ipocrita che ha intorno.
La sua, in fondo, è una grande e struggente storia d’amore.
Difficile non affezionarsi a questo indimenticabile mascalzone, perché Barney è tutti noi, è l’emblema dell’essere umano alle prese con quell’ottovolante che è la vita.
Scrittura
Sia chiaro da subito un punto: non si tratta di un racconto di facile lettura.
La difficoltà maggiore consiste nella narrazione cronologicamente non lineare (come già detto, Barney soffre di Alzheimer, egli stesso definisce “intermittenti” le sue memorie), con continui e disordinati flashback in cui si rischia di perdere il bandolo della matassa.
Vi sono inoltre frequenti digressioni, e i rimandi a una realtà lontana come quella canadese possono sembrare poco avvincenti in relazione ai nostri interessi.
Ma lo stile della scrittura è in generale entusiasmante, magistrale direi.
Se si riesce entro le prime cento pagine a familiarizzare con questi aspetti, l’impegno sarà ampiamente ripagato.
Le immagini sono tratte dal film “La versione di Barney” (2010)
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